… in a Covid-19 world parte 2

….in un attimo sto atterrando in territorio Australiano, gli interrogativi sulle nuove regole imposte dal governo per limitare il diffondersi del virus affollano la mia testa…so benissimo che dovrò fare una quarantena ma non conosco le modalità per chi , come me, vive nel Camietto e ancor più considerando che è il primo giorno di tali restrizioni. Appena la sim australiana si connette alla rete, anche se l’orario era abbastanza presto, decido di contattare il consolato di Melbourne dove ero atterrato, ovviamente usando il numero di emergenza, al quale mi risponde con estrema gentilezza (come già successo per il consolato di Auckland , Camberra e Sydney) il console, purtroppo informandomi e confermandomi che nella notte erano entrate in vigore nuove restrizioni anche in Australia ma che non avendo ancora avuto comunicazioni ufficiali poteva solo rigirarmi le info apprese al telegiornale…erano momenti concitati per tutto il mondo in quel momento, ma per chi come me si stava ancora muovendo il non aver notizie certe ha complicato di molto le scelte.Sono ancora in aeroporto.

Comincio a percorrere i soliti corridoi che ti portano ai banchi dell’immigrazione, ma stranamente non sembrano esserci troppe novità, non trovo personaggi vestiti da apocalisse che ti misurano la febbre, corridoi separati ne avvisi che intimano a mantenere distanze particolari dalle altre persone. Quindi le code continuano con la solita ansia da passaggio, come se nei prossimi dieci minuti dovesse avvenire qualcosa che ti cambierà la vita.., mentre io aspetto in un angolo che tutta la confusione che normalmente si genera appena sbarca un aereo si diradi per cominciare le procedure stranamente rilassate, anzi meno scrupolose del solito per essere un aeroporto australiano…nella mia carta di immigrazione per la prima volta non dichiaro nulla e dopo aver scansionato il passaporto e risposto ad alcune domande presso i totem automatici passo velocemente anche l’ultimo controllo da parte di un agente senza nessun avviso o informazione sulle nuove disposizioni. Non ho bagaglio da stiva, quindi mi avvio all’uscita, ed è qui, ormai sotto il sole di Melbourne, che una signora con mascherina mi porge una fotocopia dove trovo alcune informazioni sul comportamento da tenere in caso di ingresso in Australia. Mi fermo a leggere le disposizioni mentre il resto della gente continua a sciamare verso i parcheggi e punti di raccolta Uber. Finalmente qualcosa di più preciso, ancora nulla sul distanziamento sociale, ma solo un periodo di isolamento, oltretutto non così ferreo ma principalmente improntato a mantenere le autorità informate della mia salute. Tra le regole ovvie di una quarantena c’è il non spostarsi e la limitazione dei contatti con le persone…cosa semplice se sei a casa o vivi in un albergo, ma vivendo in macchina i problemi pratici aumentano.

aspettando il nuovo giorno

Ok, devo recuperare il Camietto lasciato nel parcheggio di un amico conosciuto qualche giorno prima, quando ancora non sapevo se sarei riuscito ad evitare la quarantena in Nuova Zelanda, e considerato che l’uso di mezzi come taxi o Uber era consigliato e preferito a bus o treni, mi metto in attesa dell’arrivo del mio Uber mentre provo a riordinare le idee per capire come continuare il mio viaggio. In una mezzora arrivo a prendere possesso del Camietto che mi aspettava, già questo mi basta per trovare la serenità per affrontare un mare di regole ogni giorno in divenire… Devo comunicare alle autorità dove deciderò di sostare, ma i numeri a mia disposizione non fanno altro che ripropormi registrazioni di soluzioni standard e a ripetere suggerimenti a comportamenti inapplicabili al mio caso e alla mia situazione. Le stazioni di polizia non mi fanno neanche entrare (tutti gli edifici pubblici sono interdetti a chi arriva da fuori Australia) e non mi parlano nemmeno dal citofono, tutti i cartelli suggeriscono di chiamare i soliti inutili numeri e il consolato non ha ancora comunicati ufficiali sul da farsi. Non sono proprio sereno, qui la polizia è molto gentile, ma sicuramente intransigente e pensando a non mettermi in posizioni che possano precludere la continuazione del mio viaggio in Australia decido di bloccare una volante e di informarli sulla mia situazione scaricando tutte le responsabilità alla coppia di agenti, a volte è meglio fare così, in altre è meglio restare nell’ombra… Ovviamente non hanno soluzioni immediate per una situazione così atipica, ma almeno non rischio più nulla, ed infatti decidono di aiutarmi a trovare un posto dove potermi fermare con il Camietto per la durata della quarantena ma che non sia troppo distante da un centro commerciale o almeno un supermercato per potermi procurare autonomamente il cibo per le prossime due settimane. Assieme troviamo una zona attrezzata per soste (quindi con un wc spartano ricavato da un buco di qualche metro nel terreno ma funzionante) vicina al mare, ad una zona industriale e ad una zona commerciale… Mi fermo qui, e uso il tempo per sistemare qualche piccola cosa sul Camietto, gestire le innumerevoli dichiarazioni che devo produrre per poter passare la quarantena in una situazione non ancora prevista dalle regole emesse..

Quello stesso giorno provo per la prima volta quella sensazione di insicurezza, quel peso allo stomaco, quel senso di ansia che questa pandemia sa trasmettere tanto bene… ed è un momento in particolare che ricordo, una situazione ben precisa che apre la porta a domande e dubbi… quel supermercato vuoto. Erano ormai due giorni che i telegiornali parlavano della chiusura dei confini e dell’applicazione della quarantena con la ovvia conseguenza di spingere la gente alla corsa al genere di prima necessità. Le immagini dall’Italia mostravano i supermercati vuoti e gli australiani probabilmente per questa volta hanno voluto emularci, correndo a riempire i congelatori di carne e tutti gli altri generi che conosciamo ormai tutti. Sinceramente non mi rendevo conto che la situazione fosse così cambiata nel giro di due notti, forse perchè in quei giorni stavo volando da un paese all’altro senza certezze sul futuro dil Row, forse perchè i numeri erano talmente bassi che laggiù non mi sembrava di essere in pericolo… quella sensazione di smarrimento, quando ti trovi in infradito di fronte ad un muro frigorifero dedicato alla carne, che fino a ieri da bravi australiani tenevano sempre colmo, e lo vedi vuoto… senti l’aria fredda che scivola giù ai piedi a poi allo stomaco… le persone aumentano il passo, ti corrono davanti per accaparrarsi l’ultima vaschetta… ti giri e vedi che è tutto vuoto…. quel momento… quando di colpo mi sono reso conto che c’ero dentro anch’io… dall’altra parte del mondo, io e il Camietto, lontano dalle sicurezze e conoscenze che in situazione di chi primo arriva primo vive fanno la differenza, ecco, questo è il moneto che voglio ricordare perchè è durato un attimo! Un attimo lunghissimo in cui mi sembrava di essermi fermato mentre il mondo continuava a girare attorno a me. Ma come sempre, dove aver goduto appieno del momento, la testa si riconnette, e ricomincio a vivere il mio tempo.

Ho continuato a vivere così isolato fino alla bella sorpresa, dopo undici giorni, una volante come ogni giorno viene a trovarmi, ma con la notizia che posso muovermi, il perchè non lo capirò mai, mi spiegano che la notte in aereo viene conteggiata e che considerato che sarei partito per un’altro stato australiano distante due giorni avrei potuto finire la quarantena in isolamento viaggiante. Grandiosi! Si raccomandano di non fermarmi in luoghi abitati e di fare rifornimento ai distributori automatici, mi danno dei documenti in cui vengo autorizzato allo spostamento e sorridenti mi salutano. In quel momento i confini tra stati interni sono aperti, l’unica restrizione è per chi arriva dall’estero come nel mio caso, ma ormai era acqua passata e il pensiero corre alla costa sud, con le sue scogliere, il mare che porta lo sguardo al polo sud, la famosa Great Ocean Road.

Ma anche questo momento di luce dura poco…comincio a correre verso ovest, mentre le regole di isolamento cambiano giorno per giorno…fino all’ennesima doccia fredda…ma questa è un’altra storia…

a presto per la corsa contro il tempo e contro le nuove limitazioni…

… in a Covid-19 world parte 1

Come era ovvio aspettarsi la pandemia da Covid-19 sta interessando tutti i luoghi abitati della nostra Terra, o non sarebbe pandemia…questo ha portato conseguenze in quasi tutte le nostre abitudini di vita, tra le prime forse proprio gli spostamenti. Per questo vi racconto come ho vissuto gli ultimi mesi in covid-19 world per arrivare ad oggi che come molti sanno, mi trovo nuovamente a casa in Italia… Voglio condividere i motivi e le tappe che mi hanno portato a prendere questa decisione, decisione che io intendo temporanea… e che nelle intenzioni serve a garantire il proseguimento di RoW.

Perché in quest’anno passato alla guida del Camietto per 65.932 km, toccando 25 paesi diversi, attraversando 35 frontiere, arrivando a 18.600 km e 11 ore di differenza oraria da casa , ho potuto fare esperienze, e vivere persone e situazioni, che hanno evoluto il progetto Row, e che quindi regalano ancora un nuova strada all’esplorazione dei territori del mondo che da qui in avanti continuerò a visitare.

La situazione in Australia era già abbastanza insolita, per gli incendi dei mesi a ponte tra il 2019 e il 2020 prima, e per gli allagamenti dovuti alle forti piogge poi…ma come in tutto il mondo, ad un certo momento tutte queste cose sono passate in secondo piano, per focalizzare i pensieri di tutti sul diffondersi del virus. Mentre in Italia si discuteva se chiudere o no i voli dalla Cina, l’Australia continuava a vivere con i suoi pochissimi contagi raccolti per lo più nelle due grandi città di Sydney e Melbourne ma chiudendo immediatamente gli ingressi diretti o attraverso scali provenienti dalla Cina. Penso di essere al sicuro e non mi preoccupo molto degli eventi, e mi preparo solo al mio volo in Nuova Zelanda per rinnovare il visto che mi consentirà di continuare l’esplorazione di questo mondo.

E qui cominciano i primi problemi, infatti alla mezzanotte del giorno in cui sarei partito la Nuova Zelanda avrebbe introdotto la misura della quarantena preventiva per tutti i nuovi arrivi, cosa che mi coglie ovviamente impreparato, tanto più che contattando ambasciata e consolati sia in Australia che NZ, gli stessi si dicono allo scuro di queste disposizioni (partivo alle 23.00 per arrivare dopo la mezzanotte e questo creava ancora più confusioni). Realizzo che dovermi chiudere in albergo per 14 giorni, non era così improbabile. Il mio programma originario prevedeva di fermarmi qualche giorno per visitare Auckland e la sua baia e rientrare in Australia, ma ora devo trovare una soluzione alternativa… L’ambasciata mi avvisa della possibilità di chiedere indulgenza per non rientrare nello stato di clandestino compilando vari moduli e andando ad autodenunciarmi alla polizia.. strada che capisco non possa essere applicata al mio caso in quanto valida solo per annullamento del volo da parte delle compagnie aere… Scatta l’ansia, lo stress di quando ti trovi a gestire situazioni su cui non hai nessun potere in tempi minimi, ma è proprio in questi momenti che scatta il genio, o per meglio dire la soluzione all’italiana, e quindi…a me bastava solo uscire dall’Australia, l’entrata in New Zealand era solo propedeutica al nuovo visto…al rientro in Australia non era ancora in vigore la misura di quarantena e quindi avrei potuto proseguire il viaggio… soluzione? non passare i controlli dell’immigrazione neozelandese e imbarcarmi direttamente sul primo volo per Melbourne. Ok, non avevo certezze di riuscita, ma si poteva tentare…

E’ ora, mi imbarco in un volo semivuoto e seguendo il consiglio del personale di terra di Qantas, ri-prenoto un’ennesimo volo di rientro con il minor tempo di scalo possibile. Il volo di andata parte e arriva in orario, ma come la mia sim si collega alla rete telefonica, assieme al solito messaggio di benvenuto mi arriva anche un’altra doccia fredda…dalla mezzanotte appena trascorsa anche l’Australia introduceva la quarantena obbligatoria a tutti… Bene, se il mio piano non funzionasse dovrei farmi 14 giorni in NZ e subito dopo 14 giorni in Australia… lo stress aumenta…ho paura che non avendo ancora la conferma del volo di rientro gli agenti portuali mi costringano a passare attraverso l’immigrazione…entro in bagno e aspetto che, vista l’ora tarda, le code e i controlli si diradino… A questo punto mi aggiro furtivo tra le vetrine chiuse dell’area internazionale dell’aeroporto di Auckland passando per corridoi con facce scolpite su finto legno allestiti come un’attrazione tetra di Gardaland con sensori che fanno partire suoni emessi dagli animali del posto con in sottofondo l’Haka… In giro non vedo nessuno e cerco di arrivare alle partenze internazionali dove spero di trovare un help desk per confermare il mio biglietto, cosa che ovviamente non trovo, non fosse anche per l’orario, ormai le 3 di notte. Il volo che spero di prendere parte alle 6, ma le uniche persone a cui posso chiedere informazioni sono gli addetti delle pulizie, sempre con circospezione per non far nascere un caso che avrebbe potuto girarsi contro il mio piano. Alla fine la situazione alle 5.00 era che non avevo ancora un volo e avevo realizzato che al contrario di quello che mi avevano detto in Melbourne, non c’era possibilità di farsi stampare un biglietto non pagato nella sezione transiti internazionali di quell’aeroporto. Scatta la fase barbone, mi attacco a tutte le hostes con divisa Qantas che solitarie cominciano a circolare per i lunghi corridoi spiegando la situazione… un po’ alla volta mi faccio accompagnare al gate dove mi gioco l’ultima carta… al momento giusto in cui l’addetta al gate è isolata dal resto del personale richiamo la sua attenzione con un inglese casereccio con accento italiano e riesco a convincerla a chiamare con il walkie talkie il banco esterno nella zona partenze e a farmi prenotare un posto per il volo che ormai serebbe partito tra 20 min comunicando i dati della carta di credito e passaporto via radio per non essere costretto appunto ad andarci di persona.

Mi rilasso un attimo ed è gia ora di cominciare a pensare a come affrontare la quarantena al rientro in Australia….ma questa è un storia che leggerete ne l prossimo articolo…

Roberto

…un anno…

…oggi è un anno, 366 giorni visto che il 2020 è bisesto, sono passati da quando ho lasciato la piazza del mio paese in Italia…e voglio cominciare quest’articolo con un gesto, un’abbraccio a distanza… perchè ad oggi mi trovo in Australia, ho finito la quarantena e ora posso muovermi, sempre con accortezza,  all’interno della provincia in cui mi trovavo quando anche l’Australia ha deciso di impedire gli spostamenti delle persone, prima tra stato, poi tra regioni ed ora tra province per arrestare il diffondersi del virus.

In questo momento, quindi, non posso muovermi, ne tanto meno continuare verso la meta naturale di quello che era il mio progetto, il sud America, zona categoricamente chiusa e che per ora comunque non garantisce misure e situazioni sufficienti a garantirmi la salute e una minima sicurezza…non potrei godere di quello che è la linfa della mia esperienza in tali condizioni.

Ed è in questo momento che più ripenso a tutti i gesti e non solo di aiuto, condivisione e supporto che ho avuto il piacere, e per certi versi l’onore, di ricevere in quest’anno. Anno in cui ho attraversato l’est e il nord Europa fino a toccare Capo Nord imparando quanto questa regione sia piena di singole realtà, modi di vedere e vivere, apparenti incongruenze e diversità che, mi piace pensare, possano in ogni piccola sfaccettatura diventare un ricchezza comune.

Ho poi affrontato i confini e gli sguardi rigidi delle regioni Russe, venendo perentoriamente sconfessato e felicemente sorpreso da quanto di umano ci sia sotto, anche solo apprezzando lo sforzandosi e la volontà di parlare un inglese improbabile, ma segno del desiderio di aprirsi al mondo intero che tanto diverso non è (non so se sia male o bene). Ho condiviso e incontrato viaggiatori con i quali ho trovato subito sintonia, ho trovato  viaggiatori con i quali ho faticato a trovare una linea di pensiero comune, ma non ho mai smesso di ascoltare cosa avevano da raccontare. In un attimo mi sono ritrovato nel fantastico mondo degli “stan”, Kazakhstan, Kirghizistan, ecc… dove le strade diventano lingue di terra e rocce immerse in paesaggi come gli interminabili deserti che dalla Russia del sud attraversano impudenti i confini di Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan fino all’Iran senza permesso alcuno, sempre immerso tra profumi di spezie e la polvere negli occhi…e ancora guidare, e provare la sensazione di farlo tra le nuvole degli altopiani del Tajkistan, respirando atmosfere e vivendo genti che mi hanno riportato alla mente stralci di libri scritti da chi ha saputo sognare e far sognare i profumi, le emozioni, e le sensazioni di leggerezza che questi angoli d’Asia senza alcun sforzo regalano ogni giorno. Mai mi sono fatto mancare il piacere di condividere il mio tempo con le persone di questi luoghi, facendo mie e imparando lezioni di umanità che sento hanno caratterizzato, e continueranno a farlo , tutto il mio percorso. I mesi passano veloci, troppo a volte, mi domando, oltre alle solite semplicistiche frasi fatte, che significato possa avere…non lo so, ma questo mi stimola ancor più a pensare che non esista un momento più o meno importante nella vita come nell’esperienza che oggi ho la caparbietà di vivere, e che devo impegnarmi a dare il massimo valore ad ogni singolo di questi momenti…non fermerà il tempo, ma darà un senso a questo. Con questo spirito risalgo a nord fino al leggendario lago Bajkal, attraverso il confine mongolo e mi perdo nel deserto dei Gobi, provo la sensazione di stare (mai essere) solo…in una terra impregnata di odori forti, un misto di capra, legno, sterco essiccato e pelli scolpite dal sole, dal vento freddo che trasuda di usanze e necessità ancestrali. Ne esco quasi scioccato, un pugno in pieno stomaco sferratomi da persone che vedono la vita come una continua sfida agli elementi e che hanno, e te lo fanno capire forte, l’umiltà di ringraziare per questo ogni giorno. Non riesco più a capire se il mondo sotto gli miei pneumatici stia cambiando o no, vedo differenze ovunque, ma appena chiudo gli occhi quasi inconsciamente sento un filo che unisce nelle gesta a volte, nelle intenzioni altre, sicuramente nello spirito tutto quello che mi sta fuori e che spinge per entrare a far parte di me.

Così è la parte che segue nella rigida siberia, dove le temperature crollano e mi ritrovo a guidare per quasi 5000 chilometri su ghiaccio e neve, dove trovo colonne di camion intenti a portare merci da e verso l’est della Russia…sfrecciando sul ghiaccio nelle discese, e spesso impiegando intere giornate a spalare ghiaia sotto le ruote per riuscire ad avanzare sulle salite dei continui scollinamenti. Persone con cui mi trovo spesso la sera nelle radure immerse nelle foreste, tutti attorno ad un fuoco, senza capirci con la lingua ma accumunati da un clima estremo, dal respiro che ti si ghiaccia sulla bocca, da una bottiglia di vodka senza etichetta…e rifletto sul fatto che per queste persone, quella serata non sarà una serata da raccontare come sto facendo io, sarà un’altra serata come molte altre…chi ha dato cosa…un attimo del proprio tempo… Non ci si ferma, Vladivostok, imbarco la macchina per conquistare il mito fatto di terre rosse che nella mia immaginazione è l’Australia, sfruttando i lunghi tempi di trasporto per visitare il Giappone. In Australia mi scontro con una burocrazia e tempi di sdoganamento e quarantena che hanno messo a dura prova la mia sanità mentale,ma dopo Natale e Capodanno passati in un ostello finalmente mi riconsegnano il Camietto, riparo subito alcuni danni dovuti penso al trasporto, e sono pronto per affrontare le terre d’Australia.

Oggi, come ho provato a raccontarvi giorno per giorno sui canali social più comodi e immediati che un blog, dopo interminabili disavventure, dovute spesso alle situazioni estreme a cui ti sottopone questa terra, ma che hanno arricchito il mio viaggio sempre e più, sono bloccato in una regione del sud-est Australia per la pandemia da Covid-19 scoppiata durante il mio viaggio. Ho dovuto isolarmi in quarantena vivendo per 14 giorni nel Camietto, con controlli giornalieri della polizia e senza aver la possibilità di lasciare il campo dove mi hanno parcheggiato, neanche per procurarmi il cibo…ma da qui come spesso mi è capitato in questo anno, la sorte mi ha mi ha fatto incontrare persone stupende che, anche se anch’esse in una situazione di difficoltà, mi hanno dato aiuto portandomi da mangiare, trovando il modo ogni giorno di alleviare questa situazione comune a molte persone in Italia e regalandomi sempre un sorriso…potrebbe sembrare poco, ma quando sei dall’altra parte del mondo, con un nemico invisibile che non conosce frontiere, un sorriso è un gesto che ti regala quel pò di serenità di cui hai bisogno per saltare l’ostacolo.

Sono sicuro che tutto questo avrà una fine e ho la presunzione di pensare che avrà un senso o per lo meno sta a tutti noi far si che abbia uno. E’ vero, la pazienza di aspettare non è una prerogativa dei tempi nostri, ma cercare di capire gli sforzi che ci vengono chiesti senza rincorrere sempre una scusa per far prevalere l’io sul noi penso sia un dovere, smetterla di pensare che la via giusta sia sempre l’altra… questo è il significato di “Roads on the Way”…letteralmente “strade sulla via”, qualsiasi sia la strada che decidiamo di percorrere (decidere è scegliere, e scegliere ha un prezzo..sia solo la rinuncia all’altra strada) sarà sempre una strada che alla fine ci porterà sulla via della nostra vita, oggi più che mai scopriamo che le libertà, o se vogliamo “la libertà” non è un qualcosa di dovuto, penso sia una mera illusione credere questo… perseguire questo stato di libertà costa impegno e scelte, tutto il resto è l’illusione della stessa.

Dopo questo sproloquio metafisico dovuto a mancanza di ossigeno da reclusione in ambiente fortemente claustrofobico, posso salutarvi con l’augurio che tutto si risolva presto e con la speranza che alla fine il durissimo prezzo che stiamo pagando non venga dimenticato, nascosto dal muro di inutili accuse, banalità, e falsità che perentoriamente nasceranno ad impegnarci la ragione.

Roberto

Il punto…

Ciao a tutti! riprendo con un piccolo riassunto per colmare questa lunga assenza dal blog. Ovviamente ricordo che per godere di questo viaggio giorno per giorno il canale per ora più aggiornato è Facebook o Instagram… cercate “roadsontheway” !!!!!

Riprendo dalle emozioni forti della Mongolia dove ho messo alla prova le mie doti di viaggiatore solitario, attraversando le temperature, per fortuna, ancora temperate nel deserto dei Gobi, guidando per oltre 1600 chilometri tra dune di sabbia, montagne, deserti di roccia, incontrando solo due persone in cinque giorni di passaggi off-road a volte anche molto impegnativi, e ritrovandomi nel giro di una notte immerso nel bianco della neve.

Durante questa attraversata ho provato le emozioni e le paure che cominciano naturalmente a riempire la testa quando ti trovi veramente isolato, quando ti rendi conto che dall’ultima persona che hai visto hai guidato per altri 500 chilometri… in un ambiente duro, a volte quasi lunare, tra rocce e sabbia, coperto da poca vegetazione spesso secca e bassa. La cosa che ricordo bene, è il vento che spostava la macchina, la mancanza assoluta di strade (la Mongolia occupa una superficie 5 volte l’Italia, ha una popolazione di 3 milioni di abitanti contro i 60 milioni dell’Italia e ha solo 1700 chilometri di strade asfaltate) e la mancanza assoluta di alberi. Dormire nel mezzo del nulla, vedere i cammelli correre di notte senza far rumore alcuno, sentire i cani che abitano quelle terre nascondersi sotto il Camietto sbattere con le code sul telaio, dover valutare continuamente la miglior via per arrivare al punto gps verso cui ti dirigi, cambiare rotta per evitare crepacci, montagne, canyon, fiumi, calcolare l’autonomia e i consumi per arrivare a destinazione in sicurezza, comprare qualcosa da mangiare conservato in una buca sotto terra…. tutto questo e molto altro mi torna in mente pensando al sud della Mongolia. Si, nella mia mente ho due paesi molto diversi, il sud arido e desertico, e il nord dove ricompaiono gli alberi, le città si fanno più frequenti, comincio a trovare sorgenti calde e dove gli allevatori di bestiame (per lo più pecore e capre) si muovo seguendo le greggi. In una notte mi addormento in una tormenta di sabbia e mi risveglio in un paesaggio completamente coperto di neve, dove trovare i sentieri segnati nella terra diventa veramente un’impresa titanica, le temperature cominciano a precipitare, e capisco che l’inverno è veramente alle porte quando una notte mi ritrovo senza riscaldamento nel Camietto perché il gasolio, anche se additivato con i prodotti atti a prevenire il congelamento, cominciava ad essere troppo denso per la pompa che serve il riscaldatore. Guidare sotto la neve diventa sempre più difficile, i chilometri percorsi giornalmente diminuiscono in maniera importante, le strade non ci sono, e il ghiaccio che si forma sui tergi cristalli mi costringer a fermarmi ogni dieci minuti per eliminarlo consentendomi di riprendere la guida. Ma questo è il bello del viaggio, ogni giorno una sfida… fino ad arrivare nuovamente sul confine russo, per entrare i Siberia, puntando velocemente al lago Baikal, patrimonio dell’umanità, lago d’acqua dolce più profondo e con il più grande volume d’acqua del mondo.

Ma i freddi dati non possono descrivere le sensazioni che ti trasmette respirare la fredda aria mattutina mentre passeggi sulle sue rive incontrando spesso cartelli che ricordano di far attenzione alla presenza degli orsi (per fortuna nei giorni del mio passaggio gli orsi dovrebbero esser stati in letargo). Mi godo alcuni giorni tra giornate di sole e tempeste improvvise guidando lungo le rive del Baikal, e rilassandomi in piscine di acqua calda. Ma la mia meta è Vladivostok, distante ancora più di 5000 chilometri di Siberia tra ghiaccio, neve e piccoli villaggi dispersi tra i boschi e devo fare i conti con il mio visto…quindi decido di muovermi ed affrontare questi nastri di ghiaccio tra gli alberi dove autotreni sfruttano le lunghe discese tra le valli per riuscire a risalire sull’altro versante…ma spesso non ce la fanno e devono fermarsi a spalare ghiaino sulla strada per riprendere aderenza e proseguire… guido per oltre 15 giorni in queste condizioni, tra camion fermi nel mezzo della strada, rimorchi e auto rovesciati e dove spesso mi sono fermato ad aiutare autisti in difficoltà… a volte è stato davvero difficile mantenere il controllo del Camietto, ma con pazienza e anche un po’ di fortuna sono arrivato a destinazione. Ricordo con piacere le serate gelide passate a cercare di capirmi con i camionisti fermi a bordo strada con i quali spesso ho condiviso una piazzola sicura un po’ defilata dalla strada principale per evitare che un camion, che spesso continuano a viaggiare anche durante la notte (io proprio non me la sono sentita di guidare in quelle condizioni di notte) potesse investirci nel sonno, cosa che mi spiegavano spesso capita. A volte gli stessi autisti hanno parcheggiato i loro mostri della strada a riparare il Camietto da incidenti notturni, per poi invitarmi a bere qualcosa di caldo all’interno dei cassoni coibentati spesso provvisti di stufa a carbone che dona a questi ambienti un odore di bruciato misto gasolio indimenticabile. Persone strane i russi, sembrano sempre arrabbiati, ma è solo un modo di fare, dopo poco capisci che ognuno nasconde un sorriso.

Ma sono arrivato a Vladivostok, ed è ora di chiudere il Camietto i un container per ritrovarlo in Australia mentre prendo un volo per il Giappone, Islanda e Italia aspettando il giorno giusto per sbarcare finalmente a Brisbane.


Dopo aver viaggiato per 25 paesi, aver attraversato 32 frontiere, percorso 50k chilometri in auto, ed esser volato in Giappone, Islanda e Italia… finalmente oggi sono in Australia…ma questa è un’altra storia….

Roberto

…una notte sul lago, l’angoscia, la nebbia… Kazakistan…

…questa breve storia, forse più cronaca di una notte come tante altre passate in compagnia del solo Camietto, comincia su di una strada sterrata nel nord del Kazakistan, in una giornata di settembre, una di quelle giornate che anticipano l’autunno, una di quelle giornate in cui non sai mai come vestirti…

…quelle che di giorno puoi ancora guidare con il finestrino aperto, ma appena il sole decide di ritirarsi e il vento si alza cominci a tremare mentre le temperature scendono come fosse già inverno. Ed è proprio all’imbrunire che decido di cercare un posto dove fermarmi per la notte, dove riposare e dormire.

Vedo alla mia destra un lago che si spinge verso nord, con una forma irregolare, non è il solito bacino di forma simil-tonda, ma ha una forma molto allungata con lingue di terra che corrono al suo interno come a voler raggiungere il suo centro da ogni lato… Scelgo quindi di farmi strada tra rocce taglienti e passaggi in laterale sul fianco di queste creste per raggiungere una zona che mi sembra piana, proprio sulla cima di un promontorio al termine di una penisola che più di altre si spinge tra le acque. Gli ultimi metri sono abbastanza impegnativi, il percorso più sicuro per arrivare sulla cima è comunque molto ripido e il fondo di roccia è molto sdrucciolevole, ma con calma e una buona ricognizione a piedi riesco a spingere il Camietto fino a dove volevo…per sicurezza posiziono quattro grossi massi davanti alle ruote per evitare scivolamenti e dormire più sereno…quasi me la sentivo…

E’ con questa luna che comincia questa lunga notte, una notte che mi ha colpito, che mi ha fatto provare nuove sensazioni, sensazioni di disagio, di angoscia…uno stato, l’angoscia, che a differenza della paura scaturisce dal non sapere, dal non capire…e che ti pone a più dura prova rispetto la semplice paura.

E così i soliti gesti ormai abituali, prendono il loro tempo…apro la tenda, apro la sedia e la appoggio appena fuori dal portellone posteriore, comincio a prepararmi la cena.. quella sera decido per un risotto, i vetri si appannano mentre cipolla e le erbette acquistate da venditori lungo la strada sfrigolano lente nell’olio… e il sole scende sull’orizzonte illuminando il muso del Camietto. Ormai è buio, comincia a far freddo ma ho acceso il riscaldamento e guardando fuori dal lunotto anteriore vedo la sagoma della colina che sta davanti a me illuminarsi di un chiarore insolito…mi chiedo da dove arrivi tutta quella luce e provo a girarmi per guardare attraverso il vetro oscurato del portellone posteriore…la risposta mi fu semplice e immediata, una luna piena bassissima sul lago, talmente tanto da darti l’impressione di poterla toccare. Alcune nuvole, stranamente nere, solcano il cielo interponendosi a momenti tra me e la luna… decido di prendere la macchina fotografica e uscire per immortalare tanta bellezza, ma subito il lato poetico di questa immagine si scontra con una temperatura esterna scesa di molti gradi che mi costringe a rientrare per vestirmi. Questo è il primo momento in cui la mia parte non cosciente sente un rumore, un suono regolare, un ronzio al quale però non faccio caso subito…ma che il ricordo delle sensazioni che ho provato in quel momento mi fanno capire che qualcosa di incomprensibile condivideva con me quello spazio. Continuo con il mio intento di rendere in fotografia quella luce, quelle nuvole, quella situazione e comincio a scattare disteso a terra (stupidamente ho scelto di usare il trepiede basso) mentre anche la mia parte cosciente comincia a rendersi conto della presenza di quel rumore sempre uguale…anche molto forte ma costante e monotono al punto da sparire e nascondersi nell’abitudine di sentire solo quello che vogliamo. La sensazione di disagio aumenta, l’impegnarmi nella fotografia non riesce più a distrarre i miei pensieri…e la testa comincia a rimuginare come la lingua su un dente dolorante…il volume, se possibile, si alza ma è solo la mia mente che lo mantiene basso perché sento perfino l’aria vibrare a quella frequenza… OK! non è nulla, saranno i soliti cavi dell’alta tensione che con l’umidità vibrano e diventano rumorosi… ci provo, so benissimo che non ho visto cavi passare nella zona, e poi sono in mezzo ad un lago in mezzo al nulla, che ci fa una linea proprio sopra la mia testa…ma questo mi basta per cercare la lucidità, sono a migliaia di chilometri da casa, solo e lontano almeno 50/100 chilometri dall’ultima persona incontrata, non posso permettermi di farmi sopraffare da inutili pensieri dovuti al non capire, al non sapere…ma cerco conforto e luogo sicuro nel Camietto, ormai la mia casa, non solo come luogo dove vivere…ormai appunto, anche come luogo sicuro. Per distrarmi sistemo pentole, alcune cose all’interno del Camietto e aggiorno il libro dove annoto le spese del viaggio, così riesco a far passare un tempo che a me sembra lunghissimo, ma che penso non superasse qualche decina di minuti. Mi rassereno anche se il disturbo continua sempre più forte, ma non puoi controllare tutto e in un viaggio come questo a volte devi non chiederti il perché per poter andar avanti. Nuove nuvole, più nere e sfilate si interpongono tra me e la luna, decido di uscire di nuovo per fotografarle, il tempo di due o tre scatti e il rumore diventa troppo forte, non può essere una linea elettrica, ma non capisco.. provo a sporgermi dal lato guida per vedere cosa possa essere ma non vedo nulla.. forse nebbia, ma la nebbia non fa rumore…decido di provare da lato passeggero perché c’è più spazio per camminare su quel lato e come mi sposto in quella direzione il rumore cambia, sembra più ovattato, diminuisce di intensità…mi fermo, strizzo gli occhi per vedere tra il buio e i riflessi che la luna disegna sulla collina difronte a me, ma nulla…torno sul retro e il suono ritorna ad aumentare, ma capisco che non è il volume, sembra ci sia un ostacolo tra me e la fonte del rumore…in un flash capisco che quell’ostacolo è la tenda aperta e che quindi la fonte deve essere veramente molto vicina…da come la tenda riesce a schermarlo non oltre qualche metro in direzione del muso del Camietto…la ragione lascia spazio all’istinto che mi fa correre dentro casa, dalla porta sul retro, perché so che sono uscito da li ed è sicura. Bene, ora devo capire, non posso più far finta di nulla, ma non trovo spiegazioni e quindi teorie da confutare…tengo le luci spente, qualsiasi cosa sia, meglio rimanere nell’ombra. Non voglio accendere luci, ma per capire non ho altra soluzione e quindi mi sporgo verso i sedili anteriori per prendere la torcia a mano che sta ben fissata al suo supporto, mi distendo per arrivare ad appoggiarla al cristallo anteriore in direzione di dove mi sembra di aver capito sia la fonte del rumore, appoggiandola al vetro spero di aver meno riflessi possibili che mi rendano più difficile capire cosa c’è fuori. E’ ora, un respiro e un colpo rapidissimo di luce….mi immaginavo di vedere le rocce che si trovavano a pochi metri dal cofano del Camietto, la torcia che uso è molto potente…ma nulla…un muro bianco nebbia..ma nessuna roccia, solo confusione…un attimo, il tempo di un flash..e torna il buoi…ma dopo meno di un secondo comincio a sentire un rumore come mi stessero scagliando sulla macchina manciate di sabbia, a ondate…il tutto per qualche secondo…poi più nulla… Non capisco….non capisco! ma ormai sono sicuro, qualcosa cè e l’unica via per risolvere la situazione è capire…in realtà ho pensato anche ad accendere il Camietto e muovermi da quel punto ma considerata la posizione e le difficoltà superate per arrivarci, senza una buona serenità mentale e specialmente la luce del giorno il muoversi dal quella arroccata sistemazione sarebbe poturo troppo facilmente finire con un bel tuffo nel lago…no, l’unica via è cpaire… Provo ad aprire appena il portellone posteriore e a scrutare nell’aria senza scendere ma non vedo nulla, ho la luna davanti a me, se ci fosse qualcosa lo vedrei…l’aria è pulita e perfettamente trasparente, non c’è segno di nebbia, anzi! Richiudo i lpotellone e decido di riprovare con la torcia, ma mantenendo la luce accesa per qualche secondo in posizione più arretrata per avere una visione più amplia e avere il tempo di capire di cosa si tratta…e così faccio…uno, due, tre!! Accendo la torcia, e vedo una quantità mai vista prima di insetti scagliarsi immediatamente contro il vetro anteriore, con forza, spinti da un istinto irrefrenabile, sembrano avere un movimento unico, quasi fossero una unica entità…nei pochi secondi che ho tenuto la torcia accesa si sono accumulati almeno tre, quattro centimetri di questi insetti sui tergicristalli, tramortiti appunto dall’impatto con il vetro. Ma ora so con cosa ho a che fare…scema l’angoscia e lascia posto al fastidio e al disagio…non posso muovermi e so benissimo che il Defender è sempre pieno di piccole fessure che possono essere usate da questi insetti per entrare…penso formino una colonna sopra al cofano a godere della seppur debole, aria calda che da esso esce verso l’alto o per ripararsi nel cono d’ombra che Tenda e Camietto creano oscurando la forte luce che la luna riflette questa notte. Comincio a tappare i piccoli buchi che conosco nella mia macchina, con scotch e piccoli stracci.. questa volta quel rumore di sabbia scagliato sulla carrozzeria anche se ora noto, continua per molti secondi, forse qualche minuto, ok, non sono in pericolo, ma sentire questi insetti che si scagliano sull’auto per cercare un’entrata così intensamente riesce comunque a preoccuparmi e farmi vivere alcuni lunghissimi minuti di forte disagio. Di colpo, con la stessa velocità con cui arrivano le brutte notizie, mi ricordo che ho la tenda aperta e non voglio minimamente ritrovarmi nei giorni futuri a condividere il letto con qualche migliaia di questi insetti..devo uscire a chiuderla subito! Apro il portellone e scendo rapidissimo a chiudere i gusci della tenda…corro, sono preoccupato non so nemmeno per cosa…ma nulla, sono completamente ignorato…capisco però troppo tardi il perché…il pulsante che sente l’apertura del portello ha deciso di ricominciare a funzionare proprio in quel momento, accendendo le luci interne e scatenando la frenesia di questi piccoli insetti alati simili a zanzare ma più grandi e con un debole esoscheletro che ne copre le ali.. Torno subito in auto, chiudo il portellone e forzo lo spegnimento delle luci per non aspettare il timer….il rumore è fortissimo, sia il ronzio che gli urti contro la carrozzeria, i miei occhi che hanno guardato le luci accese non vedono nulla, mi sembra che sia pieno anche l’abitacolo ora…non è così, dopo alcuni minuti tutto si calma, rimane il ronzio, insistente…accompagno all’uscita qualche esemplare che realmente aveva trovato via di ingresso e mi distendo in auto ad aspettare che qualcosa cambi…provo a dormire, ma non ci riesco, non voglio usare le cuffiette per ascoltare musica, mi estraniano tropo e io voglio rimanere vigile… Passo così almeno due ore, la stanchezza è tanta…non posso neanche usare il telefono, la sua luce gli agita…ma è proprio a quest’ora che la luna mi viene in aiuto…alzandosi nel cielo riesce ad illuminare tutta la zona, il Camietto non proietta più la sua obra sulle rocce e il rumore lentamente diminuisce. Riesco a chiudere gli occhi, mi rilasso qualche attimo …ma sono quasi le sei, e il sole comincia a tingere di blu e viola l’orizzonte…

Quella notte era finita, ci ripenso ridendo e dandomi dello stupido, ma quella nebbia non la dimenticherò…

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…Kazakistan, tra canyon e ambasciate

Come cominciare a descrivere quest’altra avventura in terra Kazaca…frutto di coincidenze, incontri e situazioni nuove…dalle persone…anima di tutto…

Almaty, una città che fu capitale del Kazakistan (oggi è Astana, o meglio da poco tempo rinominata in Nur Sultan), direi per molti versi quasi europea, ci trovo un concessionario Land Rover appena ristrutturato con il direttore che parla inglese…una salvezza per poter ordinare velocemente i pezzi di ricambio che mi servono, e quindi un caffè, filtro aria, filtro olio e sono pronto a fermarmi nell’ostello scelto in Almaty per qualche giorno. La scelta di fermarmi è dovuta alla necessità di avere un permesso Uzbeco per introdurre il drone che porto con me, quindi ben conscio delle lunghe attese che mi aspettano presso i consolati e ambasciate di questi paesi decido di concedermi il lusso di una doccia e un bagno degno di questo nome. Continuo invece a dormire in tenda, nel parcheggio privato della struttura, ormai la sento troppo come fosse casa mia, anzi, lo è! Dopo tre giorni passati in fila nei vari sportelli per poi essere rimbalzato ad altri uffici (di sicuro non essere per nulla padrone almeno del russo non mi ha aiutato) decido di passare il week-end nel parco naturale distante circa 250 km a est di Almaty dove si trova un canyon molto frequentato anche dagli abitanti del posto.

Qui incontro una coppia francese che viaggia su un defender 110 e una coppia tedesca che invece viaggia su di un pick-up con cellula abitativa. Subito facciamo gruppo e decidiamo di passare la notte nel parco. Turisti, autoctoni e passanti cominciano ad accerchiarci per cominciare la lunga serie di selfie con gli stranieri! Il Camietto fa la sua figura, mentre il sole comincia a scendere e la sua siluette si staglia nel celo del Kazakistan. Una coppia di novelli sposi si fa coraggio…e in un attimo sono arrampicati sulla scala per entrare in tenda e continuare il oro book matrimoniale con scatti in pose che solo loro sanno inventare. Tutto questo mentre mangiamo formaggio di cammello, bibite fermentate di dubbia provenienza e per non farsi mancare nulla, proposte di attempate spose Kazache in cerca di miglior sorte (se lo dicono loro…). Paesaggi stupendi, montagne che si tuffano in altipiani senza fine, mentre il sole lascia posto alle stelle che ci regalano uno spettacolo che ci terrà svegli per molte ore (ok, ok, anche l’alcool ha dato una mano a rendere magica la notte…)

Saluto i nuovi compagni di viaggio, un attimo o una vita assieme in viaggio, basta a creare dei legami che spesso durano nel tempo, per questo ci scambiamo i contatti e ognuno riprende la propria via, chi verso l’Europa chi verso le terre della Mongolia. Per me vuol dire tornare in ostello ad aspettare il permesso, che però immancabilmente non arriva e mi costringe a prolungare il calvario cercando soluzioni alternative alle lunghe mattinate passate in coda tra richiedenti visto e apolidi in terra straniera. Devo farcela, e mi rituffo nel pentolone di persone che ogni giorno affollano con calma e sudore i varchi d’entrata di ambasciate e consolati.

Una sera, mentre leggo un libro in tenda sento una voce italiana che dice “ci sarà mica un italiano dentro quella tenda?” La prima reazione è coincisa con uno sguardo furtivo attraverso la cerniera semi aperta per far passare l’aria…OK! non è Equitalia!!! posso uscire! Conosco così Paolo, un “ragazzo” come me ha appena passato la quarantina e che viaggia per scoprire il mondo zaino in spalla. Cominciamo a raccontarci qualche aneddoto sui nostri viaggi, ma poi preferiamo tornare a socializzare con gli altri ospiti dell’ostello. Il mio programma a questo punto prevedeva di partire in direzione Uzbekistan, ma parlando con amici del posto (ma questa è un’altra storia) scopro dell’esistenza di un lago proprio vicino al canyon visitato il giorno prima…nulla di straordinario, ma visto il costo del gasolio di circa 0.44€/lt e lo stile vagabonding mi scappa il matto di visitarlo. Propongo a Paolo appena arrivato e voglioso di riposare se fosse interessato a passare una notte al lago…e dopo aver ragionato da vero viaggiatore (sono occasioni da vivere al volo) decidiamo di partire sul Camietto direzione Lago!

Roberto

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L’invito a cena nella Yurta


I paesaggi sono in grado di levarti il fiato, e finalmente ho qualcuno a cui percuotere la spalla dicendo “ma vedi quello che vedo io?! Interrompiamo spesso l’avvicinamento alla meta per percorrere strade sterrate che lasciano l’asfalto e scomparire dietro la prima collina… Scopriamo paesaggi fantastici che sappiamo pochi hanno avuto la fortuna di vistare e questo ci rende ancora più vogliosi di non perdere neanche un riflesso o raggio di sole che illumina tra ombre e luci il dolce alternarsi di colline, montagne e pianure di steppa.

Prima di arrivare il lago troviamo un punto di blocco dove dobbiamo pagare per proseguire nel parco e dopo il controllo passaporti e annotazione di rito del nostro passaggio su quadernoni che neanche alle elementari , è ora di fare la buona azione quotidiana….decido di far salire un’autostoppista autoctono che aspetta appena dietro la sbarra del parco. Le comunicazioni proseguono in un misto di kazaco, italiano, inglese, francese e russo… ma alla fine arriviamo a capire che per loro è la via naturale per spostarsi il chiedere passaggi! in effetti mi era già chiaro, tutti lungo le strade vivono costantemente facendo gesti a chiunque passi, polizia compresa.

Arriviamo al lago ma la guardia non vuole farci scendere in macchina, pensiamo di dormire nel parcheggio e scendere la mattina seguente, ma scatta un gioco di sguardi con il nostro passeggero e dopo aver confuso tutto il confondibile capiamo che ci invita a dormire vicino alla sua Yurta. Proseguiamo su una stradina di fango tra cavalli, capre e umani. Il paese si desta ad osservare lo straniero (paese di 4 tende e non so bene quante famiglie) e anche qui scatta il momento selfie e sguardi persi nel vuoto. Ma è mentre Paolo monta la sua tenda che arriva la proposta indecente…il capo famiglia ci invita a cena nella Yurta! Non ho neanche provato a fingere un rifiuto, ero felicissimo ma combattuto dalla voce nella testa che mi diceva “non prendere caramelle dagli sconosciuti!”… Forse proprio per questo ho deciso che questi non erano sconosciuti, ma brave persone che vivono con regole e usi diversi dai miei.

Qui scatta la situazione comico/grottesca dell’entrata nella tenda tra mille occhi confusi nell’ombra che mi scrutano, tra sorrisi e gesti cordiali che mi invitano a sedermi sui tipici tappeti che coprono il pavimento, ovviamente al posto d’onore, mentre dall’unica porta comincia il febbrile viavai delle donne che si preoccupano di offrire una tavola colma di tutto quello che hanno. Gli uomini si preoccupano invece di offrirci bicchierini di vodka per insaldare la posizione di ospitalità, alcuni però noto bere birra al posto della vodka, altri invece sono felici di accompagnarci al baratro. Il piatto principale è pecora e capra con patate e carote, servite su piatti in centro tavola dove fa sfoggio per prima cosa il cranio delle bestie sacrificate al banchetto…ci serviamo con le mani, questo è un gesto di riguardo perché la forchetta potrebbe essere stata usata da altri e mal lavata, mentre le mani sono le tue e sai cosa ci hai fatto…..ma è proprio questo il problema… Devo dire tutto molto buono e gustoso, sarà per effetto della vodka, sarà per la situazione, sarà perchè la fioca luce che filtra dall’apertura alla sommità della tenda rende tutto più magico e surreale.

Dovete sapere che Paolo “è” vegetariano, creando un po’ di stupore in me mentre lo vedo cedere dinnanzi le insistenti richieste dei commensali… addentando un pezzo alla volta e una coscia e una costina… lui stesso si stupisce ma già comincia a pensare al suo stomaco non più abituato a tali cibi! ormai una carota o una patata non ti salveranno! mezzo capretto è andato e già prevede fuoco e fiamme dietro al sipario di moralità e processi chimici che come in un girone dantesco prende vita nel suo stomaco. E’ ora di ritirarci e ci avviciniamo alla tende, ma appena le luci delle nostre torce illuminano fievoli l’erba che ci conduce ad esse un folto numero di strane figure comincia ad avvicinarsi…prima un ragazzo su bicicletta elettrica (sei sopra una montagna, tra cavalli, capre, mucche e pecore, 4 tende tipiche quasi senza elettricità se non quella di piccoli generatori, che nemmeno un venditore ambulante oggi vorrebbe, che vengono spenti dopo pochi minuti e non ti aspetti una bicicletta elettrica!!) che dopo pochi convenevoli ci invita a bere sul lago! In un attimo lui capisce che non abbiamo da bere, e nello stesso attimo noi capiamo che sarebbe sparito nel tempo di…sparito! Poi è l’ora di due bambini che in piena notte, muniti di canna da pesca si accingono a lanciare le esce, ma prima vogliono salutare questi loschi figuri che scombinano la tranquillità della comunità. Due parole, qualche sorriso e se ne vanno con una torcia led nuova fiammante che mi avanzava…quanto paga un sorriso non finirà mai di sorprendermi! Ora viene l’ora dei ragazzotti di paese che arrivano lanciati con una macchina della quale non saprei descrivere neanche il colore e che dopo averci illuminati con i fari scendono e sembrano essere infastiditi dalla nostra presenza, magari ho frainteso ma il gesto del taglio della gola mi sembra di averlo intravisto…mah…facciamo finta, peraltro senza troppi problemi, di non capire e dopo un attimo se ne vanno…bene, possiamo dormire tranquilli con lo spray al peperoncino sotto il cuscino…. Ehhhhh no! non finisce qui, a ridare lustro alla stima per queste, e tutte le persone chi arriva? i due bambini che stavano tornando dalla pesca…tornavano per restituire la torcia!!! A questo punto non capisci più nulla, c’è chi ti invita a tavola nella loro tenda, chi ha imparato a convivere con i forestieri, chi ancora sente queste intromissioni come un problema….ma alla fine chi ti insegna a vivere sono due bambini con la canna da pesca!

Chiusura dissacrante…come conseguenza a questa giornata e nottata, Paolo ha avuto una relazione intima che lui descrisse come abbastanza burrascosa, con tutti i gabinetti incontrati dal lago al ritorno in ostello…ma ricorda con emozione specialmente l’ultimo ormai in città, dove è entrato in un ristorante di corsa senza dire nulla a nessuno e ne è uscito alla stessa maniera….

Roberto

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La Russia

Riprendo dopo qualche tempo il mio racconto, dalla Russia…carico di timori e aspettative, per questi territori a volte ostili ma sempre incantevoli, per tutto quello che fino ad oggi mi è stato raccontato su questo popolo.

Ho scelto di entrare dalla dogana terrestre più a sud sul confine Russo-Finlandese, e ci arrivo in tarda serata, anche se la luce come succede a queste latitudini stenta a lasciare il posto alla notte. Preferisco fermarmi a dormire e affrontare la burocrazia ignota e tanto demonizzata da chi me ne ha parlato fin ora al mattino successivo. Dormo in un parcheggio di interscambio per i camion che continuamente vivono in fila davanti a queste transenne che dividono due mondi. Mattino che arriva in un attimo, e sempre in un attimo mi ritrovo in coda anche io, ma per fortuna dopo appena pochi metri, passata una strettoia intravedo una corsia dedicata alle auto, e capisco che mancano ancora 3 km alla frontiera…ma non c’è più nessuno… sono solo aspettando di trovare qualcosa che ancora mi rende nervoso. Finalmente un gran traliccio con dei semafori rossi su tre corsie al quale mi fermo…e vedo dove devo passare… Passati dieci minuti nulla si muove, e provo ad avvicinarmi a piedi verso la guardia che sonnecchia dentro lo stanzino con i vetri a specchio…non lo vedo.. non si fa sentire.. la porta è aperta… e da bravo Italiano ci ficco dentro la testa scatenando urla quasi avesse trovato la moglie a letto con qualcun altro. Mi indica un cartello di divieto d’entrata appeso alla porta, ma che non avevo visto perché appunto, la porta era aperta… Aspetto altri dieci minuti e lo stesso esce con un sorriso sereno… qualcosa non quadra… devo ancora farci l’occhio a capire certe espressioni. Tant’è, gli chiedo dove posso dichiarare alcune cose e dopo avermi risposto in russo (ovviamente ci siamo capiti a gesti) ha premuto il pulsantino del verde facendo passare tutte le auto che nel frattempo si erano parcheggiate in coda alla mia.

Entro nella zona di nessuno, ogni cancello, ogni sportello, ogni singolo spostamento è scandito principalmente da tanto tempo…ma tutto scorre e tra sguardi incuriositi e la spasmodica ricerca vana di qualche doganiere che sapesse l’inglese… mi devo ricredere su tutto quello che mi avevano raccontato, oltre ai tempi lunghi, ma questi non mi spaventano, persone disponibili e per quanto esteticamente rigide molto educate. Pensate che alla fine prima di “liberarmi”, nel ridarmi i documenti si è scusato in inglese per il suo inglese!!!

Mi si aprono le porte della Russia, e punto subito a San Pietroburgo, non sono molti chilometri ma ormai era metà pomeriggio…quindi cambio due soldi e compro una sim russa al primo posto utile e mi metto in strada, con il sole alle spalle e tanta voglia di vedere. La prima sera la passo dormendo assieme ai pescatori sul ponte che chiude la “baia” di San Pietroburgo, proprio a metà dove anche trovare un parcheggio si è dimostrato difficoltoso… qui hanno una vera passione per la pesca, gli ultimi sono andati via alle 3 di notte e i primi sono arrivati alla stessa ora…ma ne frattempo si sono alternati anziani che passano il tempo, appassionati con gommoni pieghevoli sopra la macchina, ragazzi e ragazze che con la scusa di pescare si sono passati una serata tra gli scogli, personaggi strani che arrivavano a farsi un selfie sulle rocce e poi scappavano, ragazzini che arrivavano a nuoto da non so dove, signore che portavano la cena a mariti dispersi tra le lenze… dopo tutto un italiano con un fuoristrada che fa il giro del mondo non era la cosa più strana.

Il giorno dopo visito un fortino a due passi dal ponte, il 90% ormai distrutto e aperto al pubblico, il restante ancora attivo con radar che monitorano la baia, recinzioni di legno marcio e soldati di leva che tagliano l’erba di un giardinetto microscopico con falciatrice a scoppio ormai con più ruggine che un’ancora abbandonata. Ma camminando trovo la sorpresa, una spiaggia di sabbia grossa, pulitissima, piena di mamme con bambini che giocano immersi nel vento caldo di una giornata che per temperatura poteva farti dimenticare di essere a San Pietroburgo. Ma non resisto, devo provare l’acqua ed in un attimo sono dentro… mmmm… un po’ freschina ma basta uscire e riscaldarsi al sole guardando i bambini che continuano a giocare tra le onde quasi a scherno verso l’unico adulto che aveva voluto entrare con loro… farmi una domanda prima?

Ok, entro in San Pietroburgo… cerco un parcheggio che avevo già individuato su un’app per camperisti… praticamente un piazzale dietro la porta di un campo da calcio, con servizi e docce dentro un tendone da camion… quelle dei giocatori!!! Qui ho incontrato una coppia tedesca che viaggia con un cane e un bellissimo camion Mercedes 4×4, alto, nuovo, imponente, con tutto dentro e fuori, praticamente il sogno di ogni viaggiatore in offroad. Ma questo poco conta…subito ci si conosce, passato il primo mento ormai standard delle domande di rito, passiamo a decidere cosa fare questa sera! tempo di passare in ufficio per registrarmi e trovo un’altra coppia di ragazzi che si aggiunge alla compagnia… altri due tedeschi ma con pulmino raffazzonato alla meglio partiti da poco per qualche mese di libertà. A questo punto non ho più scuse, fuori caviale, prosecco e zuccherini!!!!!! Dovrebbe essermi ormai normale, ma adoro questi momenti di conoscenza, scambio di esperienze, giovialità, sguardi che fanno finta di dire ho capito ma che sai non hanno capito nulla… insomma, il giorno dopo ci salutiamo con la promessa da viaggiatore di provare a rivederci in centro Asia.

Prima di proseguire per Mosca ho voluto far tappa a Novgorod, città che mi dicono più vecchia di Mosca… ed infatti stavano festeggiando i 1160 anni dalla fondazione… una gran sorpresa perché l’avevo scelta solo come tappa di avvicinamento nella quale mi sono fermato invece tre giorni! Provo a parcheggiare vicino ad un monastero sul fiume che passa per la città, mi ci fermo tutto il pomeriggio visitandolo e poi mi preparo per la notte ma… è già, quelle cose che di colpo ti rendono probabilmente senza motivo, insicuro, ansia… nulla di che, una donna che passava torna indietro per vedere bene la targa… non chiedetemi perché ma ho preferito accendere il Camietto e spostarmi… ma faceva buio e ogni macchina che mi si metteva dietro pensavo mi stesse seguendo… psicosi a mille…ma sono momenti… e corro verso il centro dove sapevo esserci un altro parcheggio free. Più mi avvicino e più cresce il numero di persone sulle strade, non sui marciapiedi, sulle corsie! fino a capire che quella sera c’era la festa della città e il fulcro di tutto era il parcheggio che avevo adocchiato come alternativa. Ok, strada chiusa e inversione davanti ad almeno 10 auto della polizia con lampeggianti accesi, avevo un tagadà in testa tra luci e suoni e esperienza d’angoscia appena passata ma in un attimo sono fuori dal centro…e dopo essermi fermato a guardare la cartina decido di attraversare un ponte e fermarmi sull’altra sponda del fiume che ne attraversava il centro, il lato tranquillo…. Bene trovo posto in riva al fiume e posso anche godermi le luci dall’altro lato, deciso mi fermo qui e in un attimo sto già dormendo. Ma non finisce qui, alla mattina scopro che dalle prime ore del giorno stanno montando un palco a 100 metri da me e che quella sera la festa (che durava in tutto una settimana) si sarebbe spostata dal mio lato del fiume. Quando tutto cade così non ci puoi far nulla, cambio programma e decido di diventare parte dei festeggiamenti che tra fly-board , barche a vela, beach volley, rappresentazioni in costume d’epoca, cavalli, locande che fumano e diffondono odori di carne d’orso tutto il giorno, fuochi artificiali e tanta ma tanta gente, mi hanno fatto vivere atmosfere antiche, trasmesso un assaggio della passione di un popolo legato fortemente ancora a tradizioni pagane che affondano nella storia le loro origini.

Prossima tappa Mosca…ma è un’altra storia….

Pubblicato senza rileggere, ho scritto troppo, e ho sonno….il viaggio continua…

…in continuo movimento…dal viaggio al vagabondo che ho dentro…

dopo qualche giorno di latitanza, rieccomi  qui! a macinare chilometri sul Camietto dopo averlo affidato alle telecamere dell’aeroporto di Stoccolma giusto il tempo necessario a votare anche in questa importante tornata elettorale, sia per le Europee che per le comunali ma anche per definire alcune pratiche burocratiche.

Ripartito dall’aeroporto di Treviso con Rayanair e condiviso il ritardo di due ore abbondanti per motivi tecnici, con gli altri passeggeri del mio volo, ho ritrovato il Camietto prontissimo a ripartire puntando la Russia!

Porto con me gli sguardi straniti nel rivedermi così presto tra le vie del mio paese, le solite domande “cosa ci fai qui?” o “già tornato?” e le solite esclamazioni “ancora qui!” o “veloce questo giro del mondo!”… con simpatia e con una nuova, o meglio consolidata, consapevolezza che “Roads on the Way” ha la sua via naturale nel divenire  “Vagabonding Roads on the Way” a sottolineare che nulla è scritto, nulla è già definito né nei luoghi né nei tempi né per le modalità…rimane ancor più forte la voglia di esplorare facendosi guidare dalle emozioni, dalle persone, dagli incontri, dalla lezione quotidiana che l’uscire dalla comfort-zone ti costringe ad affrontare….

…esser disposti a liberarci della vita/viaggio/esperienza che abbiamo programmato per goderci a pieno la vita/viaggio/esperienza che ci aspetta…ma anche grazie a chi non ha permesso che le cose andassero come avevo programmato, come avevo sperato, come, con immensa certezza che si dimostra alla fine testardaggine, avevo già vissuto nella mia testa senza nemmeno prendermi il tempo per viverle. 

Quindi traghetto da Stoccolma a Turku in Finlandia, con i suoi tempi lenti e carichi di magia che la navigazione sa dare, con il suo dondolare mai uguale a copiare le onde del mare mai una uguale all’altra…con il ritmo della giornata scandito dagli odori della cucina che si diffondono nelle sale…dalla colazione con il profumo dolce dei panificati al pranzo, momento in cui la fa da padrone una sorta di piatto unico senza cuore e affogato nella curcuma quasi a provare una ultima rianimazione….viaggio nei profumi che si conclude con la cena e l’inconfondibile profumo di brodi scaldati al microonde misto al deciso profumo di wurstel che senza tregua girano sui rulli delle griglie e che fa da leitmotiv per tutta l’attraversata.

…ma in un batter di ciglia la terra prende il posto del mare… e gli pneumatici del Camietto sono già caldi per riprendere la strada, fino a portarmi nel giro di qualche giorno, a raggiungere la frontiera terrestre di Tarfyanovka alle porte di San Pietroburgo.

Ma questo è già domani…

Roberto